lunedì 27 aprile 2015

Antonio Gramsci e l'odio agli indifferenti

Il 27 aprile del 1937 moriva dopo undici anni di prigionia nelle carceri fasciste Antonio Gramsci.
Antonio Gramsci è stato uno dei fondatori del Partito Comunista d'Italia nel 1921 e anche uno dei massimi filosofi italiani. 
Oggi lo ricordo con uno dei suoi pensieri più celebri scritto l11 febbraio 1917:

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. 
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? 
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. 
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

martedì 21 aprile 2015

Quando gli immigrati eravamo noi italiani

Scritto e pubblicato

Quando nei primi anni del '900 noi italiani non eravamo famosi per il "made in Italy" ma eravamo famosi per la puzza, i furti e l'elemosina in strada

Il 19 aprile, nel Mar Mediterraneo s'è verificata una nuova strage di donne, uomini e bambini innocenti. 900 persone sono morte e di fronte a tutto ciò c'è chi ha perso l'occasione per stare zitto e ha preferito fare becera propaganda. 
Vorrei dedicare questo post a coloro i quali invocano i respingimenti di massa, a chi grida all'invasione e a chi urla: "Italia agli italiani!". Sì, questo post lo dedico a loro sperando che le righe successive possano ricordagli che ANCHE NOI ITALIANI SIAMO STATI IMMIGRATI e i commenti, i giudizi e le parole nei nostri confronti non erano di certo i migliori. Nei primi anni del '900 non eravamo famosi per il "made in Italy" ma eravamo famosi per la puzza, i furti e l'elemosina in strada.
Ecco, visto che un trattamento disumano noi italiani l'abbiamo già avuto, perché non proviamo a essere umani e trattiamo con dignità tutte quelle persone che scappano dalla guerra o da altre situazioni di povertà?

Ecco come eravamo descritti dagli americani nel 1912:

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”
“Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare.
Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia.
Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

Il testo è tratto da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

martedì 7 aprile 2015

Nona puntata di #Scassaminchia: S come Sfruttamento

Nona puntata della trasmissione radiofonica Scassaminchia, la trasmissione che la Rete Antimafia di Brescia conduce su GlabRadio.
In questa puntata io e Chiara abbiamo deciso di provare a raccontare meglio il fenomeno della prostituzione e per farlo abbiamo deciso di intervistare il professor Carlo Alberto Romano, vice Direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia, docente di criminologia e autore di numerose pubblicazioni riguardanti prostituzione e sfruttamento.
Al professor Romano vanno i ringraziamenti di tutta la Rete Antimafia di Brescia per la disponibilità e la collaborazione.

Qui sotto potete sentire la registrazione: