domenica 30 aprile 2017

Pio La Torre, un combattente che spaventò la mafia

Andrea Grasso: ricordiamo l'esempio di Pio La Torre
Il 30 aprile del 1982 venivano uccisi da cosa nostra Pio La Torre, politico del PCI e sindacalista, e Rosario Di Salvo, compagno e politico del PCI.

Alle nove del mattino Pio La Torre, insieme a Rosario Di Salvo, sta raggiungendo in auto, una Fiat 132, la sede del partito. In via Turba, di fronte la caserma Sole, si affiancano alla macchina due moto di grossa cilindrata: alcuni uomini mascherati con il casco e armati di pistole e mitragliette sparano decine di colpi contro i due. La Torre muore all’istante mentre Di Salvo ha il tempo di estrarre la pistola e sparare alcuni colpi in un estremo tentativo di difesa (fonte: Centro Studi Pio La Torre).

Pio La Torre è l'unico deputato a esser stato ucciso dalla mafia mentre era nel pieno delle sue funzioni di parlamentare. Un omicidio dovuto al suo impegno politico e al contrasto di cosa nostra. È a Pio La Torre, infatti, che si deve la legge sulla confisca dei beni mafiosi e l’introduzione del reato di “associazione mafiosa”, una legge postuma rispetto alla sua morte e approvata come risposta a Cosa Nostra.

Le denunce di Pio La Torre furono numerose con tanto di nomi e cognomi. Nel 1976 fu tra i redattori, insieme ai compagni del Partito Comunista Italiano e al deputato indipendente Cesare Terranova, della relazione di minoranza dellaCommissione antimafia, che accusava duramente metri di spicco della Democrazia Cristiana siciliana come Giovanni Matta, Giovanni Gioia, Vito Ciancimino e Salvo Lima.
A Pio La Torre si deve anche un altro strumento contro le mafie che fu inserito nella stessa relazione di minoranza: una proposta di legge che prevedeva l’introduzione nel diritto penale di un nuovo articolo, il 416 bis, che introduce il reato di associazione mafiosa.

Ad animare le battaglie di Pio La Torre non furono soltanto le lotte contadine e il contrasto a cosa nostra, ma anche la nonviolenza. Nel 1981, quando si trasferì in Sicilia dopo l'esperienza a Roma come deputato, si concentra sì sulla lotta a cosa nostra, ma anche all'organizzazione di un movimento di protesta contro la decisione del Governo di installare alcuni missili nucleari per conto della Nato presso la base militare di Comiso, in provincia di Ragusa.

Il suo impegno contro la guerra e contro cosa nostra fu tragicamente interrotto nell'aprile del 1982, ma il lavoro svolto di Pio La Torre è proseguito e dovrà continuare.

martedì 25 aprile 2017

Un 25 aprile dedicato a chi ha combattuto per liberarci dalle mafie

Andrea Grasso: grazie ai giornalisti che hanno scritto e lottato contro le mafie
«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire
Furono queste le parole pronunciate da Sandro Pertini il 25 aprile del 1945 in occasione della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Il 25 aprile è diventato giorno di festa nazionale e ogni anno, in tutte le piazze del Paese, si celebrano i partigiani e le loro battaglie di resistenza che hanno riconsegnato all’Italia un paese libero e democratico.

Nonostante gli anni passati, esiste ancora oggi un forte pensiero razzista e totalitario che l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e le forze sociali e democratiche combattono ogni giorno.

Ci sono, però, ancora tante battaglie di liberazione che molte persone combattono ogni giorno sacrificando, a volte, anche la propria vita.
Sto parlando della lotta alle mafie che da più di due secoli tengono in ostaggio la Repubblica Italiana. Le cause che hanno permesso alle mafie di proliferare ed espandersi non solo in Italia, ma anche in tutto il mondo, sono tante e impossibili da esaurire in solo articolo.

Vivendo in una fase storica difficile nella quale la libertà d’informazione è costantemente sotto attacco ed essendo oggi la Festa della Liberazione, voglio dedicare questa giornata a chi ha dedicato la propria vita al racconto delle vicende mafiose e che ha causa di ciò sono state uccise.

Il pensiero va quindi a Cosimo Cristina, giornalista e collaboratore di numerose testate italiane, ucciso da cosa nostra il 5 maggio 1960. La “colpa” di Cosimo Cristina fu di raccontare sul quotidiano da lui fondato, “Prospettive Siciliane”, le vicende del fenomeno mafioso nel territorio di Termini Imerese.
Mauro De Mauro, giornalista scomparso a Palermo il 16 settembre 1970 e mai più ritrovato. La “colpa” di De Mauro pare sia stata l'inchiesta sulla morte, secondo lui dovuta a omicidio e non a incidente, del presidente dell'Eni Mattei. Di De Mauro, lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia disse: «De Mauro ha detto la cosa giusta all'uomo sbagliato, e la cosa sbagliata all'uomo giusto.»
Giovanni Spampinato, corrispondente da Ragusa de L’Ora di Palermo e de l'Unità, ucciso da cosa nostra a Ragusa il 27 ottobre 1972. La “colpa” di Spampinato fu la pubblicazione di un'ampia e approfondita inchiesta sul neofascismo attraverso la quale era riuscito a documentare le attività clandestine e i rapporti delle organizzazioni di estrema destra locale con la criminalità organizzata.
Giuseppe (Peppino) Impastato, giornalista e attivista politico di Democrazia Proletaria, ucciso da cosa nostra a Cinisi il 9 maggio 1978. Le “colpe” di Peppino furono le sue denunce pubbliche, ma soprattutto radiofoniche, contro il boss del paese Gaetano Badalamenti. L’arma di Peppino Impastato fu la risata attraverso la quale ridicolizzava la mafia facendola apparire impotente. La sua morte fu inizialmente descritta come un suicidio ma grazie alla tenacia della madre Felicia i giudici riaprirono le indagini e l’11 aprile 2002 condannarono il boss Badalamenti all’ergastolo come colpevole dell’omicidio.
Mario Francese, giornalista de Il Giornale di Sicilia, ucciso da cosa nostra a Palermo il 26 gennaio 1979. La “colpa” di Francese fu di essersi occupato della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. Nelle sue inchieste entrò profondamente nell'analisi dell'organizzazione mafiosa, delle sue spaccature, delle famiglie e dei capi, specie del corleonese legata a Luciano Liggio e Totò Riina, nonché uno dei pochi a sostenere l'ipotesi che quello di Cosimo Cristina fosse un assassinio di mafia. Mario Francese, inoltre, fu l'unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella.
Giuseppe (Pippo) Fava, scrittore, giornalista, sceneggiatore, nonché È stato direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore del giornale antimafia I Siciliani, ucciso da cosa nostra a Catania il 5 gennaio 1984. Le “colpe” di Fava furono le accuse relative alle collusioni tra cosa nostra e i cavalieri del lavoro catanesi. La morte di Fava fu subito licenziata come delitto passionale ma, dopo la riapertura del caso da parte della magistratura, nel 1998 arrivano le condanne all’ergastolo del boss catanese Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola.
Giancarlo Siani, giornalista de “Il Mattino”, ucciso dalla Camorra il 23 settembre 1985. Le “colpe” di Siani furono le sue inchieste giornalistiche sul fronte della commistione tra criminalità organizzata e politica locale, ma in particolare un articolo attraverso il quale denunciava il Clan Nuvoletta.
Mauro Rostagno, giornalista e attivista che fu tra i fondatori di Lotta Continua, ucciso in provincia di Trapani, a Lenzi di Valderice, il 26 settembre 1988 in seguito a un agguato mafioso. Le “colpe” di Rostagno furono le sue denunce televisive contro le collusioni tra mafia e politica locale. La trasmissione di Rostagno, inoltre, seguiva tutte le udienze del processo per l'omicidio del sindaco Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate, che durante la pausa di un'udienza mandò a dire a Rostagno che «doveva dire meno minchiate» sul suo conto.
Giuseppe (Beppe) Alfano, corrispondente de La Sicilia e collaboratore di emittenti locali, ucciso da cosa nostra in provincia di Messina, a Barcellona Pozzo di Gotto, l’8 gennaio 1993. La “colpa” di Alfano fu la sua attività giornalistica rivolta soprattutto verso uomini d'affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali e massoneria.

Questo 25 aprile lo dedico a loro e a tutte le persone che praticano il diritto all’informazione per combattere ogni forma di violenza, sopruso, prepotenza e discriminazione.

giovedì 20 aprile 2017

Il PD mi fa ribrezzo

Andrea Grasso: sto con l'Anpi
"Purtroppo, ancora una volta a Roma il corteo dell’Anpi è diventato elemento di divisione quando dovrebbe essere invece l’occasione di unire la città intorno ai valori della resistenza e dell’antifascismo. Per questo, come già l’anno passato, non parteciperemo“. Il commento non arriva da un esponente di CasaPound o Forza Nuova, ma dal Presidente del Partito Democratico Matteo Orfini.

Ma in fondo c'è poco da stupirsi perché l'uscita di Orfini è soltanto l'ultima delle tante che confermano la natura del PD quale partito non di sinistra. Prima del Presidente Dem era già arrivata la Ministra Boschi quando un anno fa disse che i partigiani veri, quelli che hanno combattuto, avrebbero votato sì alla riforma costituzionale.
La presa di posizione dell'Anpi sul referendum costituzionale e la vittoria del fronte del NO hanno lasciato ferite ancora aperte nel PD che non perdona e ora definisce divisivi tutta l'Anpi, senza distinzione.

Siamo davanti all'ennesima conferma che il PD non ha nulla di sinistra ed è ora di prendere le distanze in maniera netta e decisa. Le parole di questi giorni fanno soltanto eco alle politiche attuate negli ultimi anni che hanno distrutto il mondo del lavoro con il Jobs Act e l'abolizione dell'articolo 18.

Starò con l'Anpi senza alcun dubbio perché rappresenta un baluardo democratico contro ogni rigurgito fascista e antidemocratico. Starò con i partigiani che parteggiano, nel vero senso della parola, a fianco degli ultimi. Starò con l'Anpi con convinzione e non starò né ora né mai con chi vede in Briatore un guru economista e parteggia, invece, con Marchionne. 

sabato 15 aprile 2017

Oggi più che mai, "Restiamo umani"

Andrea Grasso: restiamo umani
Venti di guerra soffiano sempre più forti, spinti da pazzi egocentrici e megalomani. Trump, Assad, Putin, Kim Jong Un, Netanyahu, apparentemente diversi fra loro, ma accomunati dagli stessi deliri di onnipotenza.

Solo il conflitto siriano conta quasi mezzo milione di vittime. Il Syrian Centre for Policy Research (SCPR) ne ha stimate 470mila. Circa 400mila persone sono state vittime dirette delle violenze della guerra, gli altri 70mila per le conseguenze indirette come la mancanza di adeguate cure sanitarie, medicine, soprattutto per le malattie croniche, la mancanza di cibo, di acqua pulita, pessime condizioni igieniche e abitative.
Numeri impressionanti e impossibili da contare perfino per l'Alto commissario Onu per i diritti umani che si occupa delle cifre delle vittime ha smesso di contare da metà 2014 proprio per la difficoltà di verificare e per la poca fiducia nelle fonti in Siria.

Ma tutto questo non basta, come non è servita la storia a insegnarci che le guerre portano solo distruzione, sofferenza e povertà. Così come non sembra essere servito l'impegno di tante persone che si sono schierate, e molte lo stanno facendo ancora, in difesa degli oppressi e contro gli oppressori.

Il 15 aprile 2011 veniva ucciso strangolato un "combattente" di pace, Vittorio Arrigoni. Reporter e scrittore, si era trasferito nel 2008 in Palestina, a Gaza, da dove raccontava le condizionino di vita degli abitanti e le barbarie commesse dai militari israeliani. Vittorio, per via del suo impegno, ricevette la cittadinanza onoraria palestinese, ma gli stessi onori non li vantava nei confronti del Governo Israeliano che lo considerava un pericolo già dal 2005 quando lo inserì nella lista nera delle persone sgradite.
La sera del 14 aprile 2011 è rapito da un gruppo terrorista dichiaratosi afferente all'area jihādista salafiti. In cambio della sua liberazione fu chiesta la scarcerazione del leader jihādista Hisham al-Saedni e di alcuni militanti detenuti nelle carceri palestinesi, ma non servì a nulla perché il giorno successivo il corpo di Arrigoni fu ritrovato senza vita nel corso di un blitz a Gaza.

Lo scrittore Moni Ovadia lo ricorda come "un essere umano che conosceva il significato di questa parola". Sì perché Vittorio credeva nell'umanità e la praticava ogni giorno contro le ingiustizie. E lo scrisse anche in un libro "Gaza Restiamo umani", una raccolta dei propri reportage da Gaza che dovrebbe essere insegnato e raccontato d'obbligo nelle scuole.

E allora, in questo momento schizofrenico dove secondo i diversi attentati decidiamo di sentirci qualcun altro per poche ore colorando i nostri profili con bandiere diverse, facciamo uno sforzo in più. Prendiamoci un impegno quotidiano da praticare sempre e ovunque: "Restiamo umani".

venerdì 14 aprile 2017

I difensori dell’acqua pubblica bussano alla porta di 25 Comuni

Andrea Grasso: L'acqua pubblica non si tocca
dal BresciaOggi
di venerdì 14 aprile 2017 (pag. 22)

Articolo di Cinzia Reboni

Il Comitato chiede di deliberare la consultazione referendaria Apostoli e Mazzacani: «I sindaci ci dicano da che parte stanno»

Stavolta i sindaci non avranno alibi. A farli uscire dall'ambiguità che ha scandito la partita sulle risorse idriche sarà il neonato Comitato referendario provinciale che avrà come obiettivo far deliberare la richiesta di consultazione popolare sulla costituzione del gestore unico «Acque Bresciane» ad almeno 25 Comuni, in rappresentanza del 3 per cento degli aventi diritto al voto.

UN'IMPRESA apparentemente facile come... bere un bicchiere d'acqua, alla luce del referendum nazionale che con percentuali schiaccianti (oltre il 92%) ha stabilito che i cittadini italiani vogliono che l'acqua resti un bene collettivo e pubblico. «In realtà trovare sponda negli amministratori sul referendum provinciale è un'incognita, considerato il volta-faccia della maggioranza dei sindaci che, dopo aver sostenuto in prima persona la battaglia nazionale, in Provincia hanno appoggiato compatti una privatizzazione mascherata - osserva il consigliere provinciale Marco Apostoli. La governance di ’Acque Bresciane’ è mista solo in teoria. Se un privato detiene il 49% della società e il restante 51% è polverizzato in 200 soci, appare evidente che la componente pubblica non potrà mai avere voce in capitolo nelle scelte».
L'obiettivo del Comitato è di opporsi al gestore unico - almeno nella forma decisa dal Broletto - con un referendum su scala provinciale. Dopo la consegna delle oltre 300 firme a sostegno della consultazione in Provincia, è scattata la ricerca del supporto delle Amministrazioni civiche. Fase che è stata presentata ieri a Borgosatollo, dove la petizione è stata sottoscritta in maniera massiccia. «Il nostro Comune - lamenta Andrea Grasso, commissario commissione comunale II e membro del comitato di quartiere ’Il Parco di tutti non si tocca’ - è l'emblema di come la scelta del gestore unico sia stata imposta ignorandola volontà dei cittadini. Come nella stragrande maggioranza dei Comuni bresciani, il sindaco Giacomo Marniga ha sostenuto la nascita di Acque Bresciane senza convocare un'assemblea pubblica o un Consiglio comunale sul tema».

«CHIARO che si tratta di una scelta politica fatta sulla pelle della collettività - osserva Mariano Mazzacani, alla testa del Comitato per il referendum e rappresentante del Comitato Acqua bene comune - che paventa il rischio di una deriva privatistica della risorsa idrica -. Entro il 31 dicembre 2018, con un bando
europeo, sarà messa a gara la quota societaria di maggioranza relativa di Acque Bresciane. Stiamo per consegnare chiavi in mano i nostri acquedotti per trent’anni senza avere nessuna garanzia per gli utenti - afferma ancora il rappresentante del movimento referendario - presenteremo il quesito referendario in Provincia raccolte le 25 delibere.

Sarà il momento della verità - conclude Mazzacani - per molti sindaci che fino ad oggi sulla vicenda hanno mantenuto un atteggiamento bifronte».