martedì 29 settembre 2015

Si chiude il percorso nella Rete Antimafia di Brescia

La vita è fatta dalle nostre scelte, o dal destino per chi ci crede, ma alla fine siamo sempre noi gli autori della nostra storia. Ci sono scelte semplici che si fanno al volo cogliendo l'occasione e altre che invece sono più difficili, sulle quali ci si sofferma a riflettere e pensare a lungo, anche dei giorni se necessario.

Ho fatto questa premessa perché quest'estate ho maturato una scelta difficile e sofferta: lasciare la Rete Antimafia di Brescia. Difficile perché gli ultimi cinque anni della mia vita li ho trascorsi, tra le altre cose, a far conoscere l'associazione e il lavoro quotidianamente svolto, attraversando quasi tutta la provincia e la Lombardia. Difficile perché la Rete Antimafia l'ho vista nascere, nell'ottobre del 2010, colorando lo striscione ufficiale dell'associazione e partecipando al primo presidio organizzato davanti al Tribunale di Brescia.

Sono state svolte tante attività, ho girato molti paesi bresciani, ho conosciuto molte persone e soprattutto ho imparato molto.
La vita, oltre a essere fatta da scelte, è anche composta di diversi percorsi che non sempre sono infiniti, ma a volte terminano per lasciare spazio a nuovi orizzonti.

L'abbandono della Rete Antimafia di Brescia, però, non vuol dire che abbia deciso di smettere di svolgere attività antimafia. Credo fortemente in quest'attività che oramai non si tratta più di passione, bensì di stile di vita. Ai tanti dibattiti e incontri ai quali ho partecipato, ho avuto il piacere di parlare con moltissime persone di tutte le età ed è proprio con loro che sento di aver stretto un patto che non posso non mantenere: continuare a combattere la cultura mafiosa, sostenere le vittime di mafia e trasmettere la speranza che la mafia si può sconfiggere con l'impegno quotidiano di ognuno di noi.


Continuerò a fare antimafia perché non mi basta lottare per un futuro migliore, io voglio che sia migliore anche il mio presente, che poi è quello di tutti.

sabato 19 settembre 2015

Il resoconto della Commissione Comunale II (Area dei servizi al territorio) di sabato 9 settembre 2015

Sabato 12 settembre alle 9 si è tenuta presso il Municipio la Commissione comunale II per discutere i seguenti ordini del giorno:
1) elezione del Presidente e del Vicepresidente della Commissione Comunale II;
2) esame del bando esplorativo per manifestazione d’interesse per orti sociali;
3) esame “Regolamento Comunale delle alienazioni degli immobili del patrimonio comunale”;
4) esame della domanda interlocutoria relativa al comparto strategico di PGT “CIS3” in Via Caduti del Lavoro  - Via IV novembre (vicino al Monumento dei marinai);
 5) varie ed eventuali.
Di seguito, le decisioni prese punto per punto:
1) Sono stati eletti a unanimità il Commissario Emanuele Zanardini per ricoprire il ruolo di Presidente della Commissione e il Commissario Giacomino Mereghetti per ricoprire il ruolo di Vicepresidente.
2) Il funzionario comunale Dott. Francesco Mazzali (Ufficio Ecologia e Ambiente dell’Area Tecnica) ha esposto il tema alla Commissione. Dopo un’ampia discussione, la Commissione ha evidenziato che lo scopo principale di tale iniziativa deve essere quello di aggregazione sociale e di riqualificazione ambientale.
Nel contempo ha fissato i seguenti parametri:
- i richiedenti non dovranno possedere altri terreni adibito a orto;
- i richiedenti devono essere residenti nel Comune di Borgosatollo;
- i richiedenti, nel caso di associazioni, dovranno avere la sede a Borgosatollo;
- dovranno corrispondere al Comune un canone annuo di 12€;
- i richiedenti dovranno garantire la manutenzione per il periodo della concessione del terreno;
- l'attività non dovrà avere scopo di lucro.

La Commissione ha poi stabilito che il Comune metterà a disposizione acqua e terreno: coloro ai quali sarà affidato il terreno, avranno diritto a una particella di terreno con estensione minima di circa 25 mq., per un periodo di tre anni eventualmente rinnovabili.
La Commissione, inoltre, ha invitato gli Uffici Comunali a verificare di inserire negli accordi la possibilità per il Comune di ritornare nel possesso delle aree concesse in forza a sopravvenute esigenze (o per accertati inadempimenti degli accordi intervenuti).
3) Dopo l’esposizione del tema da parte del Segretario, la Commissione, vista la tarda ora e la non estrema urgenza del tema, decide di rimandare l’esame e la votazione alla prossima seduta.
4) Il Segretario della Commissione coadiuvato dall’Assessore Motta, informa la Commissione della richiesta pervenuta dai proprietari delle aree comprese nel comparto strategico di PGT “CIS3” in Via Caduti del Lavoro - Via IV novembre (vicino al Monumento dei marinai).
Dopo aver esaminato la richiesta, la Commissione ha stabilito di:
- invitare gli interessati alla presentazione della variante all’ambito in esame, alla valutazione degli effetti socio-economici che potrebbe provocare l’intervento prospettato;
- far rispettare la superficie coperta (intesa come massima estensione) prevista nella relativa scheda di PGT);
- far rispettare la superficie dei parcheggi previsti nella relativa scheda di PGT sia come estensione sia come ubicazione;
Alla luce di quanto premesso, la Commissione si è espressa in senso favorevole all’unanimità alla citata richiesta.
5) Il Segretario ha informato il neo Presidente e il neo Vicepresidente circa una richiesta di rilascio di un’autorizzazione edilizia. 
Alle 11:45 la Commissione s’è congedata alla prossima riunione che si terrà in data da stabilirsi.

martedì 1 settembre 2015

L'uomo bianco in quella foto

Articolo di Riccado Gazzaniga


Le fotografie, a volte, ingannano.
Prendete questa immagine, per esempio. 
Racconta il gesto di ribellione di Tommie Smith e John Carlos il giorno della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico e mi ha ingannato un sacco di volte.

L’ho sempre guardata concentrandomi sui due uomini neri scalzi, con il capo chino e il pugno guantato di nero verso il cielo, mentre suona l’inno americano. Un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno di tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy.

È la foto del gesto storico di due uomini di colore. Per questo non ho mai osservato troppo quell’uomo, bianco come me, immobile sul secondo gradino.
L’ho considerato una presenza casuale, una comparsa, una specie di intruso. Anzi, ho perfino creduto che quel tizio – doveva essere un inglese smorfioso – rappresentasse, nella sua glaciale immobilità, la volontà di resistenza al cambiamento che Smith e Carlos invocavano con il loro grido silenzioso.
Invece sono stato ingannato. 

Grazie a un vecchio articolo di Gianni Mura, oggi ho scoperto la verità: l’uomo bianco nella foto è, forse, l’eroe più grande emerso da quella notte del 1968.

Si chiamava Peter Norman, era australiano e arrivò alla finale dei 200 metri dopo aver corso un fantastico 20.22 in semifinale. Solo i due americani Tommie “The Jet” Smith e John Carlos avevano fatto meglio: 20.14 il primo e 20.12 il secondo.

La vittoria si sarebbe decisa tra loro due, Norman era uno sconosciuto cui giravano bene le cose. John Carlos, anni dopo, disse di essersi chiesto da dove fosse uscito quel piccoletto bianco. Un uomo di un metro settantotto che correva veloce come lui e Smith, che superavano entrambi il metro e novanta.

Arrivò la finale e l’outsider Peter Norman corse la gara della vita, migliorandosi ancora. Chiuse in 20.06, sua prestazione migliore di sempre e record australiano ancora oggi imbattuto, a 47 anni di distanza.
Ma quel record non bastò, perché Tommie Smith era davvero “The jet” e rispose con il record del mondo. Abbatté il muro dei venti secondi, primo uomo della storia, chiudendo in 19.82 e prendendosi l’oro.
John Carlos arrivò terzo di un soffio, dietro la sorpresa Norman, unico bianco in mezzo ai fuoriclasse di colore.
Fu una gara bellissima, insomma.
Eppure quella gara non sarà mai ricordata quanto la sua premiazione.

Non passò molto dalla fine della corsa perché si capisse che sarebbe successo qualcosa di forte, di inaudito, al momento di salire sul podio.
Smith e Carlos avevano deciso di portare davanti al mondo intero la loro battaglia per i diritti umani e la voce girava tra gli atleti.

Norman era un bianco e veniva dall’Australia, un paese che aveva leggi di apartheid dure quasi come quelle sudafricane. Anche in Australia c’erano tensioni e proteste di piazza a seguito delle pesanti restrizioni all’immigrazione non bianca e leggi discriminatorie verso gli aborigeni, tra cui le tremende adozioni forzate di bambini nativi a vantaggio di famiglie di bianchi. 

I due americani chiesero a Norman se lui credesse nei diritti umani.

Norman rispose di sì.

Gli chiesero se credeva in Dio e lui, che aveva un passato nell’esercito della salvezza, rispose ancora sì.
“Sapevamo che andavamo a fare qualcosa ben al di là di qualsiasi competizione sportiva e lui disse “sarò con voi” – ricorda John Carlos – Mi aspettavo di vedere paura negli occhi di Norman, invece ci vidi amore”. 
Smith e Carlos avevano deciso di salire sul podio portando al petto uno stemma del Progetto Olimpico per i Diritti Umani, un movimento di atleti solidali con le battaglie di uguaglianza.
Avrebbero ritirato le medaglie scalzi, a rappresentare la povertà degli uomini di colore. E avrebbero indossato i famosi guanti di pelle nera, simbolo delle lotte delle Pantere Nere.
Ma prima di andare sul podio si resero conto di avere un solo paio di guanti neri.
“Prendetene uno a testa” suggerì il corridore bianco e loro accettarono il consiglio.
Ma poi Norman fece qualcos’altro.
“Io credo in quello in cui credete voi. Avete uno di quelli anche per me?“ chiese indicando lo stemma del Progetto per i Diritti Umani sul petto degli altri due. “Così posso mostrare la mia solidarietà alla vostra causa”.
Smith ammise di essere rimasto stupito e aver pensato: “Ma che vuole questo bianco australiano? Ha vinto la sua medaglia d’argento, che se la prenda e basta!”.
Così gli rispose di no, anche perché non si sarebbe privato del suo stemma. Ma con loro c’era un canottiere americano bianco, Paul Hoffman, attivista del Progetto Olimpico per i Diritti Umani. Aveva ascoltato tutto e pensò che “se un australiano bianco voleva uno di quegli stemmi, per Dio, doveva averlo!”. Hoffman non esitò: “Gli diedi l’unico che avevo: il mio”.
I tre uscirono sul campo e salirono sul podio: il resto è passato alla storia, con la potenza di quella foto.
“Non ho visto cosa succedeva dietro di me – raccontò Norman – Ma ho capito che stava andando come avevano programmato quando una voce nella folla iniziò a cantare l’inno Americano, ma poi smise. Lo stadio divenne silenzioso”.
Il capo delegazione americano giurò che i suoi atleti avrebbero pagato per tutta la vita quel gesto che non c’entrava nulla con lo sport. Immediatamente Smith e Carlos furono esclusi dal team americano e cacciati dal villaggio olimpico, mentre il canottiere Hoffman veniva accusato pure lui di cospirazione.
Tornati a casa i due velocisti ebbero pesantissime ripercussioni e minacce di morte.
Ma il tempo, alla fine, ha dato loro ragione e sono diventati paladini della lotta per i diritti umani. Sono stati riabilitati, collaborando con il team americano di atletica e per loro è stata eretta una statua all’Università di San José.
In questa statua non c’è Peter Norman.
Quel posto vuoto sembra l’epitaffio di un eroe di cui nessuno si è mai accorto. Un atleta dimenticato, anzi, cancellato, prima di tutto dal suo paese, l’Australia.
Quattro anni dopo Messico 1968, in occasione delle Olimpiadi di Monaco, Norman non fu convocato nella squadra di velocisti australiani, pur avendo corso per ben 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100.
Per questa delusione, lasciò l’atletica agonistica, continuando a correre a livello amatoriale.
In patria, nell’Australia bianca che voleva resistere al cambiamento, fu trattato come un reietto, la famiglia screditata, il lavoro quasi impossibile da trovare. Fece l’insegnante di ginnastica, continuò le sua battaglie come sindacalista e lavorò saltuariamente in una macelleria. Un infortunio gli causò una grave cancrena e incorse in problemi di depressione e alcolismo.
Come disse John Carlos “Se a noi due ci presero a calci nel culo a turno, Peter affrontò un paese intero e soffrì da solo”.
Per anni Norman ebbe una sola possibilità di salvarsi: fu invitato a condannare il gesto dei suoi colleghi Tommie Smith e John Carlos, in cambio di un perdono da parte del sistema che lo aveva ostracizzato. Un perdono che gli avrebbe permesso di trovare un lavoro fisso tramite il comitato olimpico australiano ed essere parte dell’organizzazione delle Olimpiadi di Sidney 2000.
Ma lui non mollò e non condannò mai la scelta dei due americani.
Era il più grande sprinter australiano mai vissuto e detentore del record sui 200, eppure non ebbe neppure un invito alle Olimpiadi di Sidney. Fu il comitato olimpico americano, una volta scoperta la notizia a chiedergli di aggregarsi al proprio gruppo e a invitarlo alla festa di compleanno del campione Michael Johnson per cui Peter Norman era un modello e un eroe.
Norman morì improvvisamente per un attacco cardiaco nel 2006, senza che il suo paese lo avesse mai riabilitato.
Al funerale Tommie Smith e John Carlos, amici di Norman da quel lontano 1968, ne portarono la bara sulle spalle, salutandolo come un eroe.
“Peter è stato un soldato solitario. Ha scelto consapevolmente di fare da agnello sacrificale nel nome dei diritti umani. Non c’è nessuno più di lui che l’Australia dovrebbe onorare, riconoscere e apprezzare” disse John Carlos.
“Ha pagato il prezzo della sua scelta – spiegò Tommie Smith – Non è stato semplicemente un gesto per aiutare noi due, è stata una SUA battaglia. È stato un uomo bianco, un uomo bianco australiano tra due uomini di colore, in piedi nel momento della vittoria, tutti nel nome della stessa cosa”.
Solo nel 2012 il Parlamento Australiano ha approvato una tardiva dichiarazione per scusarsi con Peter Norman e riabilitarlo alla storia con queste parole: 
“Questo Parlamento riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman che vinse la medaglia d’argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano.
Riconosce il coraggio di Peter Norman nell’indossare il simbolo del Progetto OIimpico per i Diritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e John Carlos, che fecero il saluto del “potere nero”.
Si scusa tardivamente con Peter Norman per l’errore commesso non mandandolo alle Olimpiadi del 1972 di Monaco, nonostante si fosse ripetutamente qualificato e riconosce il potentissimo ruolo che Peter Norman giocò nel perseguire l’uguaglianza razziale”.
Ma, forse, le parole che ricordano meglio di tutti Peter Norman sono quelle semplici eppure definitive con cui lui stesso spiegò le ragioni del suo gesto, in occasione del film documentario “Salute”, girato dal nipote Matt.
“Non vedevo il perché un uomo nero non potesse bere la stessa acqua da una fontana, prendere lo stesso pullman o andare alla stessa scuola di un uomo bianco.
Era un’ingiustizia sociale per la qualche nulla potevo fare da dove ero, ma certamente io la detestavo.
È stato detto che condividere il mio argento con tutto quello che accadde quella notte alla premiazione abbia oscurato la mia performance.
Invece è il contrario.
Lo devo confessare: io sono stato piuttosto fiero di farne parte”.

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Ultimo libro: A viso coperto