mercoledì 28 agosto 2013

I diritti dell'uomo cinquant'anni dopo il discorso di Martin Luther King


Era il 28 agosto del 1963, esattamente 50 anni fa, quando Martin Luther King, davanti al Lincoln Memorial di Washington tenne il suo celebre discorso "I have a dream" ("Io ho un sogno") al termine di una manifestazione di protesta per i diritti civili che coinvolse più 200.000 persone. 
La "marcia per il lavoro e la libertà" fu l'occasione per chiedere il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali come la fine della segregazione razziale nelle scuole, una legge sui diritti civili, uno stipendio minimo di 2 dollari all'ora per tutti i lavoratori, la protezione dalle violenze della polizia poliziotti per gli attivisti e un organo di auto-governo per Washington D.C., che a quel tempo era governata da un comitato.
Fu una manifestazione maestosa, la più grande partecipazione della storia di Washington, che non poté essere ignorata, tant'è che il10 febbraio del 1964 fu approvata la legge per i diritti e civili.
La giornata del 28 agosto verrà ricordata per sempre soprattutto per il discorso di Martin Luther King. Attraverso quell'orazione, Martin Luther King chiedeva l’uguaglianza per gli afroamericani negli Stati Uniti e lo faceva raccontando un suo sogno: "Che i miei quattro bambini un giorno possano vivere in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per le loro capacità".
Un discorso che rimane purtroppo attuale. Ancora oggi, infatti, sono violati i diritti umani di milioni di persone. I dati elencati nel rapporto annuale 2013 di Amnesty International, che analizza le violazioni dei diritti avvenute nel 2012 nei 159 paesi in cui opera l'organizzazione, ne sono la prova. 
112 paesi hanno torturato i loro cittadini, in 80 paesi si sono svolti processi iniqui, in 50 paesi le forze di sicurezza sono state responsabili di uccisioni illegali in tempo di pace, 101 paesi hanno represso il diritto alla libertà di espressione, in 57 paesi prigionieri di coscienza sono rimasti in carcere, "solo" 21 paesi hanno eseguito condanne a morte, in 31 paesi persone sono state vittime di sparizioni forzate e in 36 paesi uomini, donne e bambini hanno subito sgomberi forzati. Questi sono i dati che si riferiscono al 2012 e la previsione per il 2013 non è di certo in calo, basti pensare a quanto sta accadendo in questi giorni in Egitto o in Siria.
Dal 1963 sicuramente i diritti umani di molte persone sono migliorati ma purtroppo non per tutti. Ecco perchè, oggi più che mai, è importante ricordare le parole e l'impegno di chi, come Martin Luther King, dedicò la propria vita a battersi affinché ogni uomo potesse essere rispettato senza alcuna distinzione di colore della pelle, razza, etnia, sesso o appartenenza religiosa.
Termino citando una frase che Martin Luther King scrisse il 16 aprile 1963 durante i giorni di prigionia nel carcere di Birmingham (USA) che tra l'altro è stata anche utilizzata da Amnesty International per aprire proprio il rapporto annuale 2013 sopra citato: 

"L’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque. Siamo tutti presi in una rete di reciprocità alla quale non si può sfuggire, legati a un unico destino. Qualsiasi cosa colpisca direttamente uno, colpisce indirettamente tutti”. 

giovedì 15 agosto 2013

Beppe Grillo, abbi rispetto almeno della storia

La politica attuale, i diritti acquisiti e persi, le rivoluzioni e qualsiasi avvenimento sociale non nascono per caso ma derivano da eventi storici che nel bene o nel male hanno cambiato il corso della storia. A volte si tratta di semplici gesti, altre volte di manifestazioni eclatanti, atti compiuti da singoli individui o da più persone, a volte inconsapevoli e altre volte consci di compiere qualcosa di grande. La storia è fatta da molti avvenimenti e soprattutto da persone, per questo credo che sia importante conoscerla e rispettarla. Stamattina appena sveglio ho mi sono imbattuto in una foto che non mi è piaciuta per niente, questa:


L'immagine, pubblicata sul blog di Grillo, è stata utilizzata come foto copertina di un post scritto dal leader dei 5 stelle contro Berlusconi e i partiti che lo proteggono. Un post tutto sommato anche condivisibile ad eccezione della foto scelta che ha una storia ben diversa e sicuramente più significativa. La foto originale, che è questa sotto, fu scattata il 4 giugno 1989 in Cina, a Pechino, dal fotografo Jeff Widener, dell’agenzia americana Associated Press, dal sesto piano di un hotel, ad un chilometro di distanza e con una lente da 400 mm. Qui sotto la foto originale:



Le ipotesi su chi fosse quell'uomo sono molte ma l'ipotesi più accreditata è quella fornita dalla rivista inglese Sunday Express, secondo la quale si tratta di Wang Weilin, uno studente di 19 anni che in quei giorni prese parte alla "Primavera Democratica Cinese", la rivoluzione studentesca ispirata dagli accadimenti europei di apertura democratica e destabilizzazione di Mosca e che durò meno di due mesi, dal 15 aprile fino al 4 giugno.Alla rivoluzione presero parte  intellettuali, studenti, operai e contadini della Repubblica Popolare che lottarono per chiedere una nuova fase democratica per il loro Paese. Gli sforzi purtroppo risultarono vani e la rivolta venne soppressa nel sangue. Il Governo cinese infatti, proprio il 4 giugno decise di utilizzare la forza facendo scendere l'esercito in Piazza, supportato da numerosi carri armati. L'esercito arrivò nella Piazza centrale di Pechino e sparò senza troppe esitazioni sulla folla disarmata. Ad oggi non si conoscono ne ancora con esattezza il numero delle vittime di quei giorni, si va dai dati di Amnesty International che parla di 1000 vittime, ai dati della Croce Rosse che parla di 2600 morti. Quei giorni verrano ricordati per sempre grazie allo Sconosciuto di Tienanmen, noto anche come "il Rivoltoso di Tienanmen" o ancora come "Tank Man" per gli occidentali. Un semplice individuo che da solo sfidò la potenza di decine di carri armati e l'intero Governo Cinese. Ciò che accadde allo Sconosciuto di Tienanmen dopo essere stato catturato dall'esercito è tutt'oggi un mistero. Secondo alcuni storici venne giustiziato pochi giorni dopo la cattura, secondo altri ora si trova rinchiuso in un ospedale psichiatrico e altri ancora credono che sia ancora vivo ma esiliato dalla Cina. Insomma, ciò che è sicuro è che il gesto compiuto da quel l'uomo è diventato un simbolo di pace e contro ogni forma di violenza, niente a che vedere con le urla confusionarie gridate da un comico prestato alla politica e manovrato da un informatico. Per costruire una società civile e migliore molte persone hanno lottato con tutte le forze, a volte sacrificando anche la propria vita. Beppe Grillo, se non vuoi rispettare la politica, rispetta almeno almeno la storia e chi ha contribuito a farla.

mercoledì 14 agosto 2013

Bravissimo Andrea. Talento e orgoglio bresciano

Anche quest'anno il fioretto azzurro si è confermato ai vertici mondiali. Domenica 11 agosto la nazionale italiana maschile del fioretto, composta da Cassará, Baldini, Avola e Aspromonte come riserva, ha conquistato il titolo mondiale sconfiggendo gli Stati Uniti per 45-33, bissando il successo delle compagne azzurre (Arrigo, Di Francisca, Erba e Vezzali come riserva) ottenuto qualche giorno prima contro la Francia per 45-18.
Tra i fiorettisti medagliati c'è anche un bresciano che in questi anni ha dato tante soddisfazioni allo sport italiano. È Andrea Cassará.
Una carriera lunga e vincente quella del giovane schermidore dell'Arma dei Carabinieri, una carriera modello iniziata prestissimo, già nel 2002, con la vittoria del campionato europeo di fioretto a squadre e individuale. Il successo non ha intaccato minimamente Andrea, il quale ha continuato a conquistare medaglie su medaglie. Il suo palmares è ricco e sicuramente fa gola a molti atleti: due ori olimpici a squadre (2004 e 2012), un bronzo olimpico (2004), oro mondiale a squadre (2003, 2008, 2009 e 2013), oro mondiale individuale (2013), oro europeo a squadre (2002, 2005, 2008, 2010, 2011 e 2012), oro europeo individuale (2002, 2005 e 2008), e sono solo i titoli più importanti. 
Negli ultimi anni lo sport non ha saputo trasmettere ai giovani dei sani valori di lealtà, spirito di squadra, disciplina, onestà e rispetto delle regole (vedi il caso del calcioscommesse o del doping nel ciclismo. Andrea, invece, è rimasto un ragazzo semplice, concentrato nello sport e legato alla sua città di nascita. Per questi motivi, e per i successi naturalmente, ritengo Andrea un bellissimo esempio da seguire per i tanti giovani che decidono di affacciarsi al mondo dello sport. Un atleta serio e capace che con il duro lavoro è riuscito ad avere una carriera, non ancora finita tra l'altro, splendida.
Sono davvero felice di Andrea Cassará, sia come amante dello sport, sia come come italiano e sono molto orgoglioso di essere suo concittadino.
Forza Andrea, continua a vincere per lo sport, per l'Italia e per Brescia!!

giovedì 8 agosto 2013

Tragedia di Marcinelle. Era l'8 agosto 1956

Il disastro di Marcinelle fu la più grande tragedia mineraria d'Europa e la terza per numero di vittime nella storia dei minatori italiani emigrati. Un incidente che provocò la morte di 262 operai, provenienti da 12 stati diversi, su un totale di 275 persone che lavoravano all'interno della miniera. Più della metà dei minatori, 136 persone, erano italiani, il più giovane ne aveva 14 e il più anziano 53.
La miniera di carbone, denominata Bois du Cazier, era situata a Marcinelle, nei pressi di Charleroi, in Belgio. 
Nei primi anni del dopoguerra tanti italiani emigravano all'estero in cerca di lavoro e molti si dirigevano proprio in Belgio per andare a lavorare nelle miniere di carbone. La numerosa emigrazione verso il Belgio è dovuta anche a un accordo bilaterale stipulato il 23 giugno 1946 tra l'Italia e il Belgio che prevedeva la fornitura di manodopera in cambio di carbone. 
I cittadini belgi erano consapevoli dei rischi e della pericolosità di lavorare in miniera perciò i minatori belgi erano pochi, tanto da costringere il Governo a importare manodopera straniera e fu così che iniziarono i contatti con il Governo italiano. L'Italia organizzava l'emigrazione di 50 mila lavoratori, in cambio il Belgio s'impegnava a vendere all'Italia un minimo di 2500 tonnellate di carbone ogni 1000 operai.
Lo Stato italiano avviò così una campagna pubblicitaria per promuovere il lavoro in miniera in Belgio elencando vantaggi sui salari, sulle vacanze e sugli assegni familiari ma senza citare i rischi ai quali sarebbero stati sottoposti.
Nel 1946 arrivano in Belgio 24.653 italiani; nel 1947 altri 29.881, toccando l’apice nel 1948 con 46.365 unità. Il fenomeno subisce una frenata nei due anni successivi per poi riprendere nel 1951 e 1952. Se nel 1950 dalle Marche partirono per il Belgio 57 persone, nel 1951 ne partirono 1700 e l’anno successivo 1430. In totale i convogli diretti in Belgio furono 303 e trasportarono 140.105 lavoratori, 17.403 donne e 28.961 bambini.
L'Italia usciva dalla Seconda Guerra mondiale come paese sconfitto, con l'economia al collasso così pur di risollevare l'industria decise di svendersi per un "sacco di carbone" (espressione usata dai minatori). Le condizioni di lavoro che trovarono gli italiani una volta giunti in Belgio non erano di certo quelle che si pensava potessero essere prima della partenza ma nessuno sembrava farci molto caso finchè non accadde la catastrofe di Marcinelle.
L'8 agosto 1956 un operaio azionò un ascensore mentre stava salendo un montacarichi e fu tranciato un tubo di petrolio dal quale divampò un enorme incendio che fece salire una nube nera sopra la miniera.
Al termine del processo, i proprietari della miniera furono assolti e la responsabilità della tragedia fu attribuita all'operaio italiano, anche lui morto, che commise un'errata manovra di un carrello. Dopo l'accaduto, il Governo italiano mise fine all'accordo con il Belgio.
I 136 minatori che morirono a Marcinelle erano semplici cittadini in cerca di lavoro che loro malgrado sono diventati un simbolo dell'emigrazione italiana all'estero. 

mercoledì 7 agosto 2013

Anche il Sindaco di Brescia Emilio Del Bono è con Di Matteo

Lunedì 29 luglio molte città italiane si sono mobilitate a sostegno del pm Nino Di Matteo in seguito alle rivelazioni di un confidente, secondo il quale a Palermo sarebbero arrivati 15 kg di esplosivo per ucciderlo. Il Movimento delle Agende Rosse ha così deciso di organizzare una mobilitazione nazionale per non lasciare solo il pm antimafia e per sostenere chi, insieme a lui, sta lavorando e indagando sulla Trattativa Stato-Mafia.
All'appello hanno aderito 88 città italiane, in ognuna delle quali è stato srotolato uno striscione simbolico davanti ad un monumento o in un luogo importante e significativo.
Un segnale forte di tanti liberi cittadini in risposta a chi vuole impedire di far luce e chiarezza sulle stragi del '92 e sulla Trattativa avvenuta tra Cosa Nostra e uomini dello Stato. Una movimentazione che ha commosso lo stesso Di Matteo, il quale ha risposto scrivendo una breve ma emozionante letteraIn un passaggio della sua lettera, Nino Di Matteo ringrazia i cittadini scesi in piazza per la loro "sacrosanta aspirazione alla giustizia" prendendosela poi con i "tanti e assordanti silenzi istituzionali". Come accaduto già troppe volte, la politica non si è mossa, non ha dato alcun cenno, dimostrandosi ancora una volta moscia e arrendevole, o forse complice, davanti alle violenze e ai gesti di potere delle mafie.
Ovviamente non è giusto fare di tutta l'erba un fascio, così ne approfitto per ringraziare Emilio Del Bono, da poco eletto Sindaco di Brescia. Una breve telefonata mattutina fatta il giorno stesso dall'amica e Consigliera Donatella Albini (che ringrazio tantissimo) e già era tutto organizzato. Così alle 19 sotto il Palazzo della Loggia con me e gli amici della Rete Antimafia di Brescia c'era anche il neo Sindaco. Qualche minuto per salutarci, esprimere il suo sostegno a Nino Di Matteo e poi di nuovo in Loggia perchè si stava svolgendo un importante Consiglio comunale.
Ricorderò quel lunedì 29 luglio con grande felicità per due motivi: il primo è che la mobilitazione nazionale promossa dalle Agende Rosse è stata molto sentita e partecipata; il secondo è che uno dei pochi sindaci/personaggi istituzionali ad aver aderito e partecipato attivamente alla mobilitazione è stato proprio Emilio Del Bono, il Sindaco della mia città natale.
Tutte queste bellissime sensazioni mi fanno continuare a credere in un'Italia migliore.

domenica 4 agosto 2013

La Rete Antimafia di Brescia è con Giulio Cavalli


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Un incidente stradale. Così doveva morire Giulio Cavalli, attore e scrittore da anni impegnato a contrastare la mafia a suon di risate con i suoi spettacoli teatrali, colpevole di essere uno "scassaminchia che non si faceva i cazzi suo". 
A raccontare il piano di morte ideato dalla 'ndrangheta è Luigi Bonaventura, pentito ed ex boss della cosca 'ndranghetista Vrenna-Bonaventura di Crotone. 
Luigi Bonaventura descrive il tutto in ogni particolare. Giulio Cavalli sarebbe dovuto restare ucciso in un incidente stradale, investito da un mezzo pesante (una jeep o un camion rubati), in una strada concordata, in modo tale da far ricadere la colpa ad un pirata della strada. Un piano studiato e preciso perchè dietro la morte di Giulio Cavalli non doveva esserci l'ombra della 'ndrangheta per evitare che potesse diventare un martire.
L'attentato avrebbe dovuto essere eseguito in un momento ben definito. La 'ndrangheta infatti era a conoscenza del fatto che, a causa di una mancata comunicazione tra Lodi e Roma, Giulio Cavalli rischiava seriamente di perdere la scorta restando senza alcuna protezione. 
Come Rete Antimafia di Brescia siamo molto legati a Giulio e per questo raccogliamo l'invito, che lui stesso ha lanciato, a parlare della sua storia per proteggerlo.
Noi della Rete Antimafia di Brescia siamo con Giulio!!