martedì 17 gennaio 2017

Apriamo le frontiere alla speranza

Belgrado, Serbia, 21 novembre 2016. La foto scattata dal fotografo Marko Djurica, se non fosse a colori, potrebbe far pensare a un’epoca storica buia e non troppo distante , invece non c’è nessun ritocco e la situazione immortalata è reale oltre che attuale.

La foto ritrae numerosi migranti in fila per ricevere cibo davanti a un magazzino di Belgrado. Migranti provenienti soprattutto dalla Siria e dall’Afghanistan, costretti a vivere in una prigione a causa della chiusura della frontiera Ungherese, come se le fatiche del viaggio e l’abbandono del proprio Paese non fosse già abbastanza.
Condizioni di vita estranee a qualsiasi logica umana, temperature prossime allo zero, la terre e l’asfalto come letto senza coperte sufficienti per tutti senza servizi igienici.
Sono circa 6400 i profughi attualmente fermi in Siria secondo le stime delle Nazioni Unite, ma le organizzazioni locali ne contano addirittura circa diecimila.
Più di centomila, invece, le persone che nel 2016 hanno lasciato i Paesi d’origine come ka Siria, l’Afghanistan e l’Iraq e sono passate attraverso la Serbia con la speranza di raggiungere il sogno chiamato Europa.

Occorre abbattere tutti i muri ideologici, culturali e materiali e soprattutto mettere al centro un’importante politica fondata sull’accoglienza diffusa. I muri generano solo maggiori povertà e miserie, per questo c’è bisogno di ponti che consentano di trovare mete più felici a chi fugge dalle guerre infinite causate proprio da quei Paesi che rappresentano la loro speranza. Ed è anche per questa ragione, per le guerre provocate o incentivate con l’invio di armamenti, che noi paesi europei abbiamo un dovere in più nei confronti di chi migra da territori di guerra.

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